La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo. Essa è la
sede del tatto, il senso che consente di rilevare la presenza di stimoli dovuti
al contatto della superficie cutanea con oggetti esterni. Ogni centimetro cubo
di pelle possiede circa 130 recettori tattili suddivisi in 5 tipi, che
trasmettono differenti sensazioni: freddo, caldo, tatto, variazione di
pressione e dolore.
E’ anche uno dei sensi verso cui riversiamo minore
attenzione. Le nostre mani stringono distrattamente oggetti, toccano le mani
altrui, accarezzano tessuti, indumenti, oppure sfiorano altri corpi durante un
abbraccio, accarezzano guance e labbra con una carezza.
I nostri piedi calpestano terreni morbidi, pavimenti duri,
superfici ruvide oppure lisce, scalano sentieri di montagna oppure attraversano
il duro asfalto delle strade o di un marciapiede. Indossano scarponi rigidi e
duri oppure scarpe morbide e leggere, o magari camminiamo scalzi su un prato,
ci riserviamo un contatto con la natura consentendo ai nostri piedi di godere
del contatto con l’erba bagnata, poggiare a contatto diretto sulla morbida
terra.
Facciamo tutto questo in maniera scontata, automatica, senza
presenza a noi stessi e all’ambiente che ci circonda. Siamo sicuri che
l’esperienza del tatto debba esaurirsi in quell’effimero tocco con il mondo
esterno? O quel momento di contatto tra la parte più esterna del nostro corpo e
l’ambiente circostante avrebbe altro da dirci? Se riuscissimo a seguire il
percorso dei recettori dalla nostra pelle fino ai meandri della nostra anima,
cosa scopriremmo?
Il mondo dei sensi non è fatto di sole sensazioni. Questa
consapevolezza è più immediata con riferimento a sensi quali l’olfatto, la
vista, l’udito e il gusto. Colleghiamo automaticamente un particolare sapore
(ricordate il celebre episodio delle madeleine in “Alla ricerca del tempo
perduto” di Marcel Proust?), un odore, un’ immagine o un rumore ad un nostro
ricordo e da lì si sprigiona un potenziale di emozioni e sentimenti che permea
tutto il nostro essere, aprendo le porte alla nostra consapevolezza. Ci
conosciamo meglio, ricordiamo, riviviamo e rivivendo ci struggiamo, forse
soffriamo. Ma sicuramente maturiamo, e cresciamo.
Questo discorso vale anche per il tatto. Sottovalutato,
trascurato, dimenticato. Cosa potrebbe succedere se rallentassimo mentre usiamo
il tatto? Se ci concedessimo il lusso di andare piano, sollevare lentamente una
gamba e poggiare delicatamente il piede in terra sentendo tutto il suo percorso
mentre le dita, la pianta e il tallone si posano in terra, cosa sentiremmo?
Forse sarebbe piacevole scoprire che siamo in grado di andare piano, noi che
conduciamo vite frenetiche e camminiamo a testa bassa rimbalzando da un capo
all’altro delle nostre giornate mentre la nostra testa vaga vorticosamente tra
pensieri sfuggenti e incontrollabili. O forse proveremmo fastidio, siamo
talmente abituati a correre da non riuscire a godere dello “stare” con la
lentezza. Fatto sta che quell’esperienza non ci lascerebbe indifferenti.
E se, anziché consumare gli incontri in strette fugaci,
esaurire l’esperienza in un contatto che è solo uno sfiorarsi senza avvolgere
anche le nostre anime, toccassimo invece con lentezza, ci abbracciassimo con
profondità e trasporto? Come sarebbe quell’incontro? Cosa ci lascerebbe?
Tenerezza, forse? E se quella tenerezza potesse parlare quale storia
racconterebbe? Probabilmente la storia della nostra vita. La magia di un
ricordo, di una persona entrata nella nostra vita e vi ha lasciato un segno
indelebile. Una persona, o un’esperienza, che forse ci piacerebbe ritrovare,
dando così una risposta nuova e un altro significato al nostro presente. O
forse no. Ma in questo caso ci scopriremmo capaci di lasciare andare, di
sentirci liberi e leggeri.
E sarebbe così che scopriremmo che il tatto, così come gli
altri sensi, può fungere da espediente per un ascolto interiore. Un veicolo per
acccedere a ciò di cui siamo fatti, ossia ricordi, sentimenti ed emozioni, che,
insieme ai sogni, ci aprono ad una nuova consapevolezza su noi stessi.
Esercizio
Provate a scrivere un racconto che narri un incontro con
un'altra persona o la visita in un luogo in cui giungete per la prima volta dal
“punto di vista” del tatto. Soffermatevi sull'esperienza sensoriale del
contatto con l'altra persona, fate parlare la vostra pelle che sfiora corpi,
oggetti, indumenti, e rileggetelo con calma. Vi renderete conto che vi sono
entrati dentro, che non è stata solo un'esperienza esterna ma anche e
soprattutto interna. Quelle persone, quei luoghi, sono diventati parte di voi.
Hanno lasciato qualcosa dentro, che ha una storia da narrare.
🎯CONSIGLIO: Quando parliamo del
tatto come espediente narrativo, ricordate sempre un trucco: imparare ad andare piano.
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