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Recensione: “Il fuoco, il vento e l’immaginazione” di Antonella Salottolo

Per la mia prima volta in veste da recensore su queste pagine digitali vi parlerò di un romanzo d’esordio dagli spunti progettuali interessanti ma afflitto da problemi che purtroppo ne minano in maniera critica la qualità complessiva finale.

Scheda libro 

Titolo: Il fuoco, il vento e l’immaginazione
Autore: Antonella Salottolo
Edito da: Kubera edizioni
Distribuito da: Borè s.r.l. (librerie/e-store)
Uscita: 11 gennaio 2019 (1a edizione cartacea); 25 febbraio 2019 (elettronico)
Formato: brossura (cartaceo); Kindle (elettronico)
Genere: romanzo
Pagine: 184 cartaceo; 159 elettronico
Prezzo: 14 € cartaceo; 3.99 € Kindle


Il libro 


Il fuoco, il vento e l’immaginazione è, per dichiarati intenti dell’autrice esposti nell’introduzione del libro, un romanzo atipico comprendente elementi eterogenei legati da un “fil rouge che permette a tutti questi elementi di stare armonicamente insieme all’interno dello stesso quadro” (pag. 7) individuato dalla stessa ne “L’IMMAGINAZIONE” ([sic] pag. 8).   
La protagonista/voce narrante, in occasione del rito partenopeo tradizionale chiamato focarazzo ricorrente nel giorno dedicato a Sant’Antonio Abate (17 gennaio) in cui, assieme agli alberi del Natale appena trascorso, i partecipanti donano in sacrificio alle fiamme qualcosa “che è rimasto dell’anno vecchio per propiziarsi quello nuovo” (pag. 11), affida al falò – attraverso noi lettori – la storia, dalle tinte sia favolistiche, che drammatiche, che, in una sorta di colpo di scena finale, anche gialle/thrilleresche, di Matteo e Lorenzo e le rispettive famiglie in relazione tricotomica con la l’insegnante Clara; l’incontro casuale proprio con Lorenzo durante un viaggio in treno Napoli-Padova della protagonista/voce narrante unitamente all’imbattersi della stessa in un trittico di libri (Cosa mangiare e dove, Il cappello delle fiabe e il vento, Il diario di Clara) editi da una (fittizia) casa editrice – la Fantastimondo –, legata strettamente alla storia personale delle famiglie dei due, fungono da fulcro dentato sul quale il rotore trilobato wankeliano delle vicende familiari interconnesse dei tre personaggi dà propulsione alla storia, il tutto secondo una classica gradualità narrativa di svelamento al lettore attraverso le interazioni e le letture della protagonista/voce narrante che ne ripercorre le vicende biografiche venate di tragedia, aprendo però nel finale, in linea con il generale tono favolistico di tutto il libro, alla speranza post-oscurità, oltre che ad un eventuale romanzo-seguito facilmente subodorabile dalla pre-chiusa finale che recita “ma questo è l’inizio di un’altra storia”. 

Il libro: elementi positivi 

Vi sono molti elementi positivi in quest’opera, i quali, se fossero stati utilizzati/sviluppati con più padronanza, avrebbero potuto rendere Il fuoco, il vento e l’immaginazione un ottimo libro capace di spiccare e differenziarsi dalla moltitudine di uscite letterarie annuali.
La stratificazione di differenti narrazioni matrioskescamente racchiuse l’una nell’altra è sicuramente il principale fra gli elementi interessanti dell’opera che, sebbene non innovativo, quando sapientemente utilizzato è in grado di creare testi di profondità e spessore letterario assodati: si pensi a Ulisse che narra all’assemblea dei Feaci parte delle proprie vicende nell’Odissea; alle novelle narrate da Shahrazād al marito uxoricida ne Le mille e una notte, all’interno delle quali vi sono diversi personaggi che a loro volta raccontano altre storie; si pensi a Ismaele che narra la vicenda di Achab e del Pequod in Moby Dick, narrazione nella quale, fra le altre cose, vi è riportata la narrazione della vicenda del Town-Ho fatta dallo stesso ai propri compagni di vascello nella versione che egli raccontò ad alcuni astanti in una locanda di Lima; o alla voce narrante che riporta/narra la vicenda narrata da Marlow sul ponte della Nellie in Cuore di tenebra. Lo svelamento della vicenda attraverso una ricostruzione effettuata attraverso sia la lettura di volumi “inaspettati” che l’interazione con altri personaggi ricorda tangenzialmente L’ombra del vento di Zafón, senza però riuscire a dispiegare una vicenda ad esso paragonabile; un più accorto utilizzo dei tre libri della Fantastimondo come effettivo contraltare speculare dei tre vertici relazionali delle vicende famigliari narrate all’interno della cornice del racconto attraverso gli occhi della voce narrante avrebbe potuto creare una geometria narrativa dinamica di grande forza nonché pregio. 
Il falò propiziatorio al cospetto del quale avviene la narrazione delle narrazioni – offerta in sacrificio alle fiamme “per farla arrivare in alto tra le nuvole, così che potesse poi viaggiare nel vento e girare per il mondo” (pag. 11) – aggiunge inoltre un elemento ancestrale/pagano/primevo a mio avviso molto potente per il modo in cui fa leva su qualcosa di antico e sepolto ma soltanto assopito in ciascun individuo sotto la rassicurante superficie di urbanità e civilizzazione tecnologica (fuoco e racconto combinati si perdono nelle nebbie del tempo degli albori dell’umanità divenuta cosciente e raccolta attorno ad un nucleo di chiarore e calore eretto contro le tenebre). 
Il contrasto dicotomico fra Matteo-yin (articolista divulgativo scientifico erudito e agorafobico recluso) e Lorenzo-yang (scrittore e critico gastronomico oltre che patologico viaggiatore) è un altro potenziale elemento motorio/conflittuale da manuale che però non viene sfruttato per creare un dinamismo compiuto e per certi versi atteso all’interno della vicenda; presumo che questa polarizzazione opposta e complementare, con l’entrata in scena della protagonista/voce narrante nella vita di Lorenzo e, nel finale, di Matteo (attraverso una lettera) sarà più centrale e propulsiva, e, sospetto, con ramificazioni potenzialmente conflittual-amorose, nel seguito (al quale l’autrice ha dichiarato di essere al lavoro), divenendo ella un nuovo terzo vertice nella rotazione relazionale wankeliana delle loro vite. 
Gli excursus gastronomici, che potrebbero apparire fuori luogo ed essenzialmente inutili alla pura azione della storia, sono un pezzo forte, una serie di gemme gratuite piazzate in dono all’interno del testo; probabilmente il vostro recensore le apprezza a causa della sua peculiare propensione al godimento materico e fisico del mangiare come atto non meramente di sussistenziazione energetico-biologica ma come rituale comprensivo di elementi storici, culturali, etnografici oltre che del puro piacere sensoriale di qualcosa che è buono; trovo queste chicche inserite nella vicenda come un qualcosa di sano e genuino da cui traspare l’amore dell’autrice verso la calorosa umanità intrinseca e fondante la conservazione delle tradizioni (che non è altro che la conservazione di un livello di identità) attraverso il nutrire (cosa vi è di più mammiferiale e intimo e rassicurante della prima domanda posta da qualsiasi mamma ai figli, ossia: “hai mangiato?”). Lo stesso dicasi per i riferimenti geografici, culturali, storici seminati con generosità nel testo che offrono facoltativi spunti di approfondimento personali – lodevole l’inserto paremiologico ne Il cappello delle fiabe e il vento che ben si accoppia alle note gastronomiche per il senso che trasmette rispetto alla conservazione delle tradizioni e della memoria delle stesse come parte di un’identità. 
Le innumerevoli citazioni in esergo sono gradevoli e gradite, ma credo che possano risultare troppe e asfissianti considerata la brevità dei capitoli, oltre a generare un effetto contrastante con il linguaggio usato nel testo (di cui più estesamente sotto). 
Il tòpos postmoderno dell’osservare assieme alle relative declinazioni essere-osservati/osservare-sapendo-di-essere-osservati/ecc. è introdotto, restando però appena accennato e del tutto periferico.  

Il libro: elementi non proprio positivi 

Come anticipato, a vanificare tali elementi di pregio vi sono numerose problematiche non ignorabili neppure con la più salda benevolenza e la più incrollabile suspension of disbelief (sospensione dell’incredulità) che affliggono Il fuoco, il vento e l’immaginazione nella sua forma data alle stampe; esso non è certamente un opera che possieda alcun valore letterario e fortunatamente sembra non porsi neppure come tale, quanto piuttosto come divertissement/ensemble in forma testuale di passioni, interessi ed elementi biografico-personali dell’autrice racchiusi in una pratica confezione testuale; considerato unicamente come prodotto editoriale d’intrattenimento, esso ha gli stessi problemi di ogni singolo film di Steven Seagal: gli elementi per renderlo un modo godibile e non impegnativo per passare il proprio tempo vi sono tutti, eppure, sorprendentemente, il risultato finale non è neanche lontanamente all’altezza delle aspettative. 
Per cominciare la disamina critica da aspetti relativamente marginali quanto ampiamente opinabili, dirò che la suddivisione dei capitoli non mi convince: già i primi tre – Il focarazzo, La festa, I doni – di complessive 9 facciate (pagg. 11-20) sia stilisticamente che contenutisticamente parrebbero in realtà uno solo e funzionerebbero meglio in forma unificata (oltre che snellita); la scelta del punto di partizione fra i capitoli sembra a più riprese erronea/incomprensibile e costringe spesso alla rilettura per cercare di comprenderne meglio la ragione/logica; un esempio è all’interno della serie di sette capitoli dedicati a La leggenda di Fungus Rock inframezzata, fra il sesto e il settimo (La leggenda di Fungus Rock – Questioni di onore[sic] e La leggenda di Fungus Rock – Gran finale), da un capitolo intitolato Pensieri che semplicemente appare come fuori posto e incongruente. Il totale complessivo stesso dei capitoli è paradossale: su 166 facciate che compongono il corpo del testo nell’edizione cartacea (pagg. 11-177) ve ne sono ben 42 provvisti di titolo (o titolo e sottotitolo) – unitamente all’immancabile citazione in esergo – per una media numerica sconcertante di poco meno di 4 facciate in termini meramente spaziali per ciascuno di essi; date le caratteristiche del testo, molto distanti da un lirismo sintetico e denso indicativo di una scrittura che abbia raggiunto una maturità espressiva, una decina/dozzina di capitoli sarebbero stati più che sufficienti per organizzare la narrazione, che risulta troppo spezzettata; inoltre, l’assenza di un sommario/indice è una pecca decisamente irritante, indicativa di una certa trascuratezza verso il lettore (il vostro recensore ha dovuto ottenere manualmente il numero di capitoli riportato poc’anzi con una discreta spesa di tempo e imprecazioni accessorie). Sorgono perplessità anche per la modalità di utilizzo dei capoversi, decisamente troppi e troppo spesso composti da brevi periodi separati e isolati dal testo precedente e/o seguente per ragioni che rimangono oscure anche a seguito di diverse riletture. 
Spostandomi dall’esteriorità superficiale dell’organizzazione “estetica” del testo per addentrarmi nella carne che lo sostanzia, seguendo parallelamente una gerarchia di gravità delle difettosità che affliggono l’opera, devo sottolineare che alcuni passaggi/sviluppi/nodi dello svolgimento della trama presentano buchi/incongruenze che pongono il lettore nella posizione di utilizzare “L’IMMAGINAZIONE” (sic) non tanto per colmarli/ignorarli, quanto piuttosto per raffigurarsi mentalmente l’autrice alle prese con grattacapi nel dispiegamento dell’intreccio apparentemente oltre la portata delle proprie capacità di scrittrice. È inverosimile che la lettura di brevi brani di ciascuno dei brani riportati pari pari dai libri della Fantastimondo richieda alla protagonista/voce narrante, all’interno della finzione romanzesca, diverse ore con conseguenti occhi brucianti e assopimenti (utilizzati, sospetto, anche per dosare l’inserimento delle pubblicazioni fittizie nelle vicende personali della protagonista/voce narrante), quando nella realtà fisica del lettore che abbia sotto gli occhi una copia de Il fuoco, il vento e l’immaginazione lo scorrimento dei medesimi brani occupi poche decine di minuti; o che una parte fondamentale della storia venga riferita alla protagonista/voce narrante in treno da una ragazzina quattordicenne incontrata due mesi prima durante un precedente viaggio sulla medesima tratta; o che all’interno di una narrazione dichiaratamente in prima persona spuntino diversi capitoli (Lorenzo e Matteo; Andare avanti; la serie de La leggenda di Fungus Rock) redatti in terza persona e dal punto di vista di un personaggio che non è la protagonista/voce narrante (incrinando la cornice insistentemente promossa del racconto donato al propiziatorio falò tradizionale). La pochezza nella gestione del testo emerge prepotentemente dalla disseminazione di indizi anticipatori/suggeritori di quanto potrebbe accadere nel succedersi della narrazione, eseguita con tutta la grazia di un adolescente arrapato che armeggi con il gancio di un reggiseno; confluendo verso la fine del romanzo e verso il clou sia narrativo che dell’intreccio relazionale a tre vertici fra Matteo, Lorenzo e Clara, ci si imbatterà in insistenti incursioni anticipatorie di qualcosa che debba accadere del tipo: “mi ha raccontato solo di lui, di lei e della tragedia” (pag. 137); “avevo quasi paura di quello che mi aspettava nelle pagine successive, sapevo già che sarebbe successo qualcosa di temendo (sic), ma quella lucidità […] mi spaventava” (pag. 158); e poi: “oltre alla pedagogia c’era dell’altro: una morbosità, un attaccamento verso quei due bambini che di sicuro non avrebbe portato a nulla di buono” (pag. 162); e ancora: “il capitolo successivo […] era davvero cupo” (pag. 163); e vi assicuro che ne ho risparmiate molte altre. 
Il problema maggiore de Il fuoco, il vento e l'immaginazione risiede e si innerva in ciò che si può definire stile/voce dell’autrice che, mi duole dire, risulta ovunque e perennemente semplice fino all’infantilità. È risaputo che ogni discussione intorno alle peculiarità stilistiche proprie di una determinata voce autoriale è sicuramente altamente aleatoria ai fini della valutazione di un prodotto narrativo: ciascun recensore/critico, per quanto possa tentare di formulare giudizi in maniera il più possibile oggettiva e imparziale e super partes, sarà comunque influenzato in qualche misura dalla propria inaggirabile soggettività sull'argomento (compreso il sottoscritto); posso però assicurare che non è questo il caso, perché, oltre allo stile/voce, mi duole ancor di più dover riferire che il testo è infarcito di errori grammaticali e sintattici i quali, per quanto li si guardi da qualsiasi prospettiva soggettiva e se non espressamente funzionali alla caratterizzazione espressiva di personaggi e/o porzioni di testo (di nuovo: non è questo il caso), restano indubitabilmente oggettivi e inequivocabili; gli errori di cui Il fuoco, il vento e l’immaginazione è costellato (tra cui l’ortografia di alcuni termini, l’uso della consecutio temporum, la punteggiatura casuale quanto la configurazione dei denti di Max Pezzali nei primi anni ’90, e così via) aggiungono sconcerto e innumerevoli alzate di sopracciglia ad una scrittura che si rivela in definitiva come un rincorrersi di cliché e frasi fatte ed espressioni linguistiche di livello (pre)adolescenziale. Per fugare ogni potenziale scetticismo, riporto sotto alcuni esempi per illuminare meglio e sostanziare le motivazioni di questa mia affermazione critica: 
“L’Indiana visualizzava i simboli reiki di purificazione da estendere a tutti i presenti e ai cari lontani e si chiedeva dove la porterà il nuovo anno.” (pag. 18); 
“Era presto, per non essere costretta a correre con i bagagli, ad avere l’ansia come compagna di viaggio, ero scesa con tutta calma.” (pag. 21); 
“Bene Matteo da un lungo viaggio papà ti ha portato il cappello delle fiabe, stavamo aspettando il momento giusto per mostrartelo, è magico, se lo indossi riesci a raccontare delle bellissime storie che dici proviamo?” (pag. 58); 
“Aveva piovuto e i freni per l’acqua planning non avevano fatto il loro dovere” (pag. 87); 
“Il cappello delle fiabe e il vento aiutarono spesso nonno Umberto ad affrontare l'ardito compito di far passare il tempo.” (pag. 92); 
“Intanto a Napoli, la ricerca su Lorenzo e Matteo era a un punto morto l’unica cosa che potevo supporre era che la scomparsa dell'ultimo parente in vita, che li aveva aiutati a superare tutti quei lutti e a crescere, quando avevano vent'anni era stato il colpo di grazia, semplicemente questo... Non c'era molto altro da scoprire... Lorenzo e Matteo avevano reagito come meglio avevano potuto a tutto quello che gli era capitato.” (pag. 93); 
“Io stavo parlando e non mi accorsi di nulla, a un certo punto alzo lo sguardo e a cinque metri da me vedo Mario, era pallido, sembrava che avesse visto un fantasma. Si avvicinò e mi disse: ‘Cosa cavolo ci fai qua?! Credevo di essere stato chiaro!’ e tirandomi per un braccio mi strattonò. Io mi bloccai, e non riuscii a parlare. Volevo sparire! Non per Mario, ma per la figuraccia appena fatta con il Professor Jackson, mentore di Mario alle Hawaii.” (pag. 149); 
“Ritrovai un po’ di coraggio e riuscii a dire: ‘Perché lo hai fatto andare via? È praticamente fuggito! Cosa gli hai raccontato di me?!!!’. Mario: ‘Non è questo il punto! Tu non dovevi venire qui!!! Ma che problema hai?’. Io: “Ora non ho nessun problema, anzi! Prima sì, avevo un problema, eri tu, mi hai rovinato la vita!”. Mario: ‘Sei pazza! Non voglio dare spettacolo! Spostiamoci!’ ” (pag. 150); 
“Mi voltai solo per vedere una foto che ritraeva Mario con la sua famiglia davanti una grande casa, quella che Mario aveva preferito alla nostra. Era un edificio a due piani bianco con il tetto di tegole rosse, le pareti imbiancate a calce e le finestre chiuse da persiane verdi. Il sentiero di ciottoli che conduceva alla porta d’ingresso era fiancheggiato da aiuole arrotondate in cui spiccava il verde del prato tagliato molto accuratamente e i colori sgargianti di tantissime piante tropicali. Sembrava la casa del Mulino Bianco in versione hawaiana.” (pag. 153). 
Capite ora cosa intendo? 
Una giustificazione che il vostro recensore sospetta possa essere addotta alla questione sollevata sullo stile autoriale potrebbe obiettare con guitta saccenteria che visto che è la protagonista/voce narrante a raccontare al focarazzo – quindi a noi lettori – la storia racchiusa fra le pagine di questo volume (giustificazione che si infrange sull’incongruenza del punto di vista utilizzato, vedi supra), la forma stilistico-linguistica è per forza di cose involontariamente distorta dal prisma del suo (cioè della protagonista/voce narrante) individuale essere un sé dotato di vocabolario/voce/processi cognitivi propri, risultando in tale uniforme semplici(stici)tà. 
Un’ulteriore giustificazione potrebbe suggerire che tale stile sia voluto e consapevole ma per ragioni meno astratte e decisamente più utilitaristiche. Il vostro recensore è conscio del fatto che è potenzialmente più proficuo realizzare qualcosa della portata linguistico-letteraria-contenutistica piazzabile fra produzioni senza pretese ma altamente commerciabili (come, in campo cinematografico, sa bene l’interprete dell’immortale Gino Felino [sic!] in Giustizia a tutti i costi); una certa tendenza attuale, dopotutto, è quella di elogiare e promuovere qualsiasi testo che risulti semplice & scorrevole, in altre parole fruibile da un pubblico che sia il più vasto possibile. 
L’autrice de Il fuoco, il vento e l’immaginazione manca però del tutto anche questo ipotetico obiettivo di “facilità di fruibilità” dispiegando la vicenda potenzialmente interessante lungo centoottanta pagine di periodi molto spesso disarmanti che non cambiano nel tono o nella forma quale che sia il contesto di riferimento all’interno del mosaico di molteplici narrazioni che tenta di intessere per tenere assieme il romanzo; più che "L’IMMAGINAZIONE" (sic), il fil rouge del libro è l’assoluta uniformità monocorde della voce vagamente forrestgump-iana (sareste sorpresi di quanto assiduamente compaia la locuzione “wow” e della ricorrenza di punti esclamativi) che si ripete uguale per ciascuna delle diverse voci narrative che lo strutturano e che, nonostante i buoni intenti dell’autrice e la positività innegabile del messaggio che tenta di veicolare, temo che uccida ogni potenziale vitalità residua nelle sue pagine incenerendo nel lettore il desiderio di proseguirne la lettura.  
La natura degli errori/orrori fin qui elencati è tale da far collassare gli elementi validi dell’opera entro l’orizzonte degli eventi della gravità dei difetti stessi, assestando un colpo fatale al giudizio complessivo sull’opera; ancor di più quando ci si spinga a sbirciare un profilo biografico-curricolare dell’autrice scoprendo così che la stessa ha conseguito una laurea specialistica in Filosofia (breve a latere: il vostro recensore, per evitare il più possibile influenze esterne attorno alla formulazione di un giudizio critico del tutto personale [già inseparabile dalle idiosincrasie soggettive individuali, vedi supra], ha letto integralmente il testo del romanzo prima di qualsiasi ricerca sull’autrice e sulla casa editrice), per poi seguire e conseguire un master in Marketing & Service Management presso la Facoltà di Economia della medesima università. Come già affermato, gli errori restano tali; ma possono risultare più comprensibili alla luce di una anche stringata anagrafica di chi li abbia commessi che ne delinei un percorso formativo carente/nullo, ben distante dai 19 punti formativi che chiunque può visionare sulla pagina LinkedIn dell'autrice; chi abbia conseguito una laurea tramite regolare corso di studi, e a maggior ragione in filosofia, deve essere in grado di esprimersi per iscritto correttamente in virtù del tonnellaggio di testi obbligatoriamente da assimilare o anche solo memorizzare per il periodo pre e intra superamento di ciascun esame; il contatto stretto con i testi di Platone, Agostino, Cartesio, Hegel, Sartre, Heidegger, Derrida ecc. ecc. ecc. dovrebbe avere come conseguenza osmotica involontaria – senza dimenticare tredici anni precedenti di istruzione pre-universitaria – l’acquisizione duratura dell’automatismo necessario a mantenere la capacità di scrivere correttamente; e il conferimento di ciascuno degli attestati da parte del Ministero della Pubblica Istruzione compresa la laurea dovrebbe garantire inequivocabilmente che il/la conferito/a abbia, fra le altre cose, raggiunto la padronanza di tutti gli strumenti scolastici necessari alla decifrazione e riproduzione corrette della lingua italiana. 
Nel caso specifico dell’autrice vi è un’ulteriore ragione di sconcerto e perplessa stupefazione: dalla summa meticolosamente riportata sulla propria pagina Linkedin si scopre che la stessa ha atteso ad un laboratorio sulla semiotica e la filosofia del linguaggio nel periodo di studi presso presso la facoltà di Filosofia; per quanto ciò sia relegato nelle brume temporali di una decade fa, mi pare irrealistico che l’autrice ne abbia totalmente rimosso i contenuti al momento di scrivere il romanzo qui in esame. Non è una questione di stile/registro linguistico; la tendenza attuale è, come accennato precedentemente, quella di promuovere testi che abbiano una scrittura semplice & scorrevole, pertanto comprendo le motivazioni che possano spingere un aspirante autore ad aderirvi nella speranza di ottenere visibilità ergo vendite. Passino le incongruenze/inverosimiglianze narrative – dopotutto si viene esortati a lasciarsi trasportare da “L’IMMAGINAZIONE” (sic), perciò, come per molti film di botteghino, si possono lasciar correre molti aspetti poco credibili a favore di una fruizione passiva e credula e rilassata; ma il fatto davvero spaventoso è che – e non so in che altro modo dirlo  l’autrice si esprime in ogni caso con un linguaggio da terza media.  
L’altro fattore aggravante è che non si tratta di un testo autopubblicato, bensì di un prodotto edito da una CE, quindi presumibilmente revisionato prima dell’approvazione al lancio editoriale; quanto visto ed esemplificato in questa recensione non depone di certo a favore di Kubera Edizioni poiché, apparentemente, sembra che si sia limitata a ricevere il manoscritto, impaginarlo, dotarlo di una copertina accattivante (e lo è, a parte una mia avversione idiosincratica per il particolare tipo di font utilizzato), e diffonderlo rapidamente fra gli scaffali sia fisici che digitali del mondo; se una revisione editoriale è stata effettivamente eseguita, ciò solleva ancora più dubbi sulle competenze e sulla professionalità dell’intero staff kuberesco, poiché la stragrande maggioranza degli errori/difetti/mancanze che costellano il testo pubblicato nella sua forma attuale salta all’occhio alla prima lettura (piccola curiosità: sul sito ufficiale della piccola CE, nella sezione “chi siamo”, i componenti della stessa sono presentati da avatar grafici simpsoniani e moniker alfabetici personali, con il duplice intento, credo, di trasmettere simpatia nascondendo al contempo la reale identità – perciò la formazione – di coloro ai quali un manoscritto venga professionalmente affidato); non posso sapere se ciò che sia stato ricevuto dai curatori editoriali fosse una prima stesura o un testo già riveduto dall’autrice, ma è certo che, quale che fosse lo status del manoscritto all’interno del processo di redazione di un’opera narrativa da parte dell'autore, il lavoro editoriale svolto su di esso è, a giudicare dal prodotto finale, insufficiente. 

L’autrice 

Antonella Salottolo, nata nel 1984, vive a Napoli, dove lavora nell’ambito della comunicazione sul web. Dopo aver conseguito la laurea in Filosofia si è specializzata nel marketing e da allora si occupa principalmente di web copywriting. Amante del mare, dei viaggi, della buona tavola e della cultura orientale, in particolare del reiki, adora scrivere e aggiornarsi sull’evoluzione della comunicazione e della società. Ha lavorato a questo romanzo mentre aspettava il suo amatissimo bimbo (a cui lo ha dedicato, N.d.R.). 

Conclusioni 

Avrei voluto davvero che Il fuoco, il vento e l’immaginazione mi piacesse e riuscisse a strapparmi un voto positivo. Ribadisco: vi sono molti elementi interessanti e stimolanti, ma dopo averne completato con una certa fatica la lettura, sia analitica che in veste di lettore comune, a causa della miriade di problemi visti in precedenza che sono, purtroppo, innegabilmente troppi, come recensore dotato di una certa etica non posso proprio spingermi a conferire la sufficienza a questo esordio, e ciò mi rincresce. Per questo vorrei permettermi di dare un consiglio all’autrice affinché il seguito riesca ad ovviare alle lacune (anche se, una volta letta la recensione, immagino che non sarà nella migliore disposizione d’animo per ricevere consigli dal sottoscritto): scriva; scriva e basta; scriva senza pensare al dopo, alla pubblicazione, a come verrà percepito ciò che ha scritto; scriva e riscriva e rilegga e riscriva e rilegga ancora e riscriva il testo, al limite dell’ossessivo, per migliorare la voce e renderla più matura e rispecchiante pienamente la sua formazione; una volta che abbia scritto e riscritto e fatto decantare più volte il suo manoscritto, cerchi senza fretta una CE seria, che sia in grado realmente di aiutarla a rendere il suo testo la versione migliore possibile da affidare, oltre che ai canini spietati dei recensori, alle braci dei falò degli occhi dei lettori di questo mondo. 

Valutazione finale 

   
Voto numerico: (4.75/10

Recensione di: Alessandro Marzulli




Commenti

  1. Bella recensione, molto completa. Concordo con l'analisi svolta. Un libro che avrebbe potuto essere una piacevole lettura, ma che non è riuscito nell'intento. Ho trovato particolarmente fastidiosi la carenza linguistica (i continui puntini di sospensione e punti esclamativi che danno un "effetto liceale") e certi errori grammaticali, soprattutto gli errori di consecutio temporum, che mi obbligavano spesso ad interrompere il flusso e rileggere, perché alla prima lettura non comprendevo del tutto i periodi.

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