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La scelta di un libro e la ricerca di una cultura autentica

Ho un’impressione che ritorna: che potrei anche sciropparmi milioni di tomi scritti da geni o eruditi, milioni di volumi di teoria intercontinentale e rimanere, ciononostante, qui dove sono.
Ho anche una grande paura: quella di diventare uno di quegli pseudo-letterati che hanno raggiunto una propria personalissima “cultura” semplicemente accumulando letture casuali, incapaci di dare alle stesse un senso (ammesso che ve ne sia uno, ovviamente). Di solito lo sbocco naturale di chi accumula compulsivamente è quel tipo di libro dilettantesco ma pieno di spocchia che parla di tutto, dalle origini del cosmo al perché ci piaccia così tanto Diletta Leotta. E generalmente lo farà con quella spocchia-mista-aggressività perché altrimenti come puoi pensare di essere notato? Allora mi consola il fatto che esistano dei classici, quei bei libri che hanno anche la funzione rassicurante di permetterci di costruire un canone, fatto di radici solide, su cui poi si svilupperà - e a suon di aggiunte casuali crescerà - il nostro bagaglio libresco e quindi il nostro gusto personale. E, perché no, possiamo sempre vantarci (se ci teniamo tanto a farlo) di aver letto tutti i libri di Umberto Eco o di conoscere Madame Bovary, a differenza della plebaglia che legge solo Fabio Volo (non ho nulla contro Volo, era tanto per fare un esempio) o letteratura contemporanea. Perché ora non vorrei risultare antipatico, ma quando uno mi dice che il libro più bello che ha letto è Open di Agassi mi vengono i capelli dritti (non ho nulla neppure contro Agassi né il libro in questione, era, ancora una volta, tanto per fare un esempio). Quindi forse i classici un minimo di ancoraggio ce lo possono fornire, e avere l’umiltà di sfogliarne uno non è oggettivamente una cattiva idea.
Eppure molto spesso il bagaglio culturale suona più come una zavorra da gettare in mare… Come direbbe il mio amico Emiliano Gambelli: “il mio bagaglio culturale l’ho lasciato alla stazione di Iberna, affinché resti congelato per sempre”.
Quale può essere una vera e autentica cultura? (chi non coglie la differenza tra “vera” e “autentica”, legga “autentica” come “non meramente esibita, ma sentita senza alcun bisogno di esibire”).

La scelta del libro

A casa ho una libreria non proprio enorme ma quanto meno abbastanza ricca (frutto in realtà della passione letteraria di mia madre mista a varie sindromi da accumulo) ma mi trovo spesso con l’imbarazzo della scelta: quale libro sceglierò? Quale libro tra quelli che il mio cervello registra passivamente e roboticamente come “Unità-presente-sullo-scaffale” potrà davvero essere in grado di aggiungere qualcosa al mio universo mentale liquido, un plasma in costante trasformazione e tendenza al dimenticare? Allora guardo i vari titoli presenti sugli scaffali della mia libreria (cioè di mia madre) o i titoli tra gli scaffali immateriali di qualche store online senza trovare una facile risposta e credo di avere una faccia da scemo in quei momenti, ma sono momenti di empasse necessari. Non sto scegliendo un libro e basta: sto decidendo chi voglio diventare nelle prossime settimane, quale cibo dare in pasto alla mia mente. In un certo senso leggere è come suonare o giocare a scacchi: non lo si fa soltanto per svago, si celebra un culto.

E poi c'è chi sta bene lo stesso!

Ah, giusto per riportare al meglio i fatti di cronaca, alla passione di mia madre (e forse anche mia) fa da contrappeso il mio babbo, che non legge mai un libro (quando lo fa sembra che una specie di mal di testa lo prenda, non tanto per lo sforzo, ma proprio perché non glie ne frega un accidente) e non mi sembra soffrire più di tanto per questo!

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