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"I dolori del giovane Werther": impressioni di prima lettura

Un classico che non avevo mai letto, neppure al liceo. Ne avevo solo studiato alcuni passaggi in quanto scolasticamente obbligato. Devo dire che leggendolo adesso, lontano dagli obblighi scolastici, l'ho apprezzato molto. (Io ho l’edizione Feltrinelli, con la traduzione di Paola Capriolo).

Il contesto

Si inserisce nel Romanticismo, alle origini del sentimento romantico, dello Sturm und drang, contiene infatti alcuni degli elementi caratteristici di tale movimento (vittimismo, Natura come forza irresistibile e potenza distruttrice, amore) ma secondo me non va letto soltanto in questo senso: non è un mattone indigeribile come ci si potrebbe aspettare, è invece un libro alla portata di tutti, di piacevole lettura oltre che di pregio letterario. Bellissimo anche il fatto che nel romanticismo tedesco, e in questo libro in particolare, certi temi un tantinello noiosi come politica e patrottismo vengano lasciati fuori dalla porta (a differenza di quanto accade in Italia, dove il Foscolo cerca di imitare Goethe nelle sue “Ultime lettere di Jacopo Ortis” nelle quali c’è il patriottismo sempre di mezzo).

Il libro

Tutto ha inizio con un incontro, quello con Charlotte, abbreviata poi in Lotte, la donna di cui Werther si innamora. Ma il Werther non è soltanto la storia di un amore, è qualcosa di più, anzi molto di più: le riflessioni e le confessioni che il protagonista fa rivolgendosi all’amico Wilhelm sono incredibilmente umane, ci riportano a quando eravamo puri di cuore. Riflessioni sulla vita, sull’uomo nella società con le sue regole e le sue ipocrisie, contraddizioni.
Se mi domandi come sia qui la gente, devo risponderti: come dappertutto! E’ una cosa monotona, il genere umano.
Werther è un personaggio che non può lasciarci indifferenti, con un’anima sensibile davvero ben delineata, ci costringe a guardarci dentro, ci porta a vivere le sue emozioni con il ritmo ora lento ora convulso delle sue lettere.
Quello che so, chiunque può saperlo; il mio cuore l’ho soltanto io.
Quanto è vera questa frase! Leggere “I dolori del giovane Werther” significa essere trasportati per un poco in un mondo che oggi forse non esiste più: quello delle emozioni vissute lentamente. Nel Werther tutto si muove piano, i luoghi si visitano e rivisitano passeggiando o andando a cavallo o in carrozza. Oggi invece cosa siamo? Forse siamo automi veloci, siamo schiavi automuniti al servizio degli aziendalisti e degli insensibili che fanno carriera (o forse è sempre stato così, tirando a indovinare… anche Werther la pensa così!). Werther per me assomiglia molto al nostro Leopardi, è anch’egli un “giovane meraviglioso”, che riesce a cogliere il sentimento più leggero o profondo. Si avverte costantemente l’anelito verso l’Infinito, tipicamente preromantico: il protagonista è come un recluso, che dalla sua prigione vede soltanto illusioni, oltre allo spettacolo di “figure variopinte” umane che gli si para davanti, così la sua anima vorrebbe scappare ed essere finalmente libera. Tutto assume quasi la consistenza dei sogni:
Che la vita dell’uomo sia solo un sogno è già parso a molti […] come ogni accontentarsi di certi risultati della ricerca sia semplicemente la rassegnazione del sognatore, pago di decorare con figure variopinte e luminosi paesaggi i muri della sua prigione, tutto questo, Wilhelm, mi fa ammutolire.
La ricerca di autenticità del Werther si avverte anche nel suo rifiuto della mentalità scientifico-tecnicista (che evidentemente era una mentalità imperante già all’epoca):
Lui è un uomo di ingegno, ma d’ingegno assolutamente ordinario; la sua conversazione non mi diverte più della lettura di un libro ben scritto.
Ebbene, posso dire che “I dolori del giovane Werther” non è semplicemente un libro ben scritto (Werther non vorrebbe mai ricevere un simile “apprezzamento”!) ma un libro vero, con una sua anima, che va ben oltre l’essere solo scritto bene. Non ci resta che arrivare alla fine del libro e poi salutare questo eroe romantico come fosse un nostro caro amico, che ci lascia soli.

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